lunedì 23 novembre 2015

Beniamino Gigli, "Ambasciatore del Bel Canto Italiano nel mondo"

Gigli, ovvero il "Signore del Bel Canto"
e "L'Ambasciatore del Bel Canto Italiano nel mondo"!


Nella ridente cittadina marchigiana di Recanati, ove era nato il sommo poeta Giacomo Leopardi, così come il compositore d'opera Giuseppe Persiani al quale è intitolato il Teatro della città, nel quartiere di Castelnuovo, nacque pure Beniamino Gigli, un ragazzetto destinato, per doti innate e per grande studio vocale, a divenire Artista principale del Metropolitan di New York ed uno dei più grandi tenori della prima metà del Novecento; e, sempre a Recanati, sua figlia Rina, dopo una vita di teatro d'opera come soprano, avrebbe poi vissuto per molti anni.


Dopo i primi anni d'esperienza nella sua lunga carriera, già verso la fine degli anni Trenta, Gigli veniva considerato un artista eccelso ed un cantante "belcantista", come possiamo vedere da una dedica del compositore Cilea al tenore recanatese, ormai celebre mondialmente:

<<Al sommo Gigli,
che la potenza della voce sa piegare alla soavità del bel canto italiano, tutta la mia ammirazione e tutta la mia gratitudine per aver dato a "Gloria" fulgente vita.>>
Francesco Cilea - Roma, 15 gennaio 1938


15 Gennaio 1938 - Ripresa nel Teatro Reale dell'Opera di Roma di "Gloria", dramma lirico (2° versione) in 3 atti di Francesco Cilea, libretto di Arturo Colautti, dirige Oliviero De Fabritiis, maestro del coro Giuseppe Conca, regia di Marcello Govoni, scenografia di Pietro Aschieri e Alfredo Furiga {soprani Maria Caniglia (Gloria) e Edmea Limberti (senese), tenore Beniamino Gigli (Lionetto Fortebrando), baritoni Armando Borgioli (Bardo) e Tito Gobbi (banditore, bassi Giulio Tomei (Aquilante) e Ernesto Dominici (vescovo)}

In questo filmato degli anni Quaranta, egli viene definito: "SIGNORE DEL BEL CANTO" !


Lo stesso Gigli, nella sua Lezione Introduttiva di Londra, nel 1946, parlava del Bel Canto, in questi termini:

<<Tutti i celebri cantanti del passato, non italiani, come Sims Reeves, Charles Santley, Emma Albani, Marcella Sembrich, Nelli Melba, Victor Maurel, Marcel Journet, Dinh Gilly, ed altri, non solo erano ben al corrente della lingua italiana ma sapevano per esperienza che le cosiddette vocali italiane A, E, I, O, U (o meglio, le cinque vocali come concepite e pronunciate dagli italiani) costituiscono la "vera base" della voce e del canto, cioè, del Bel Canto. (...) Un buon cantante italiano - un prodotto della vera Scuola, l'unica e sola, "parla" come canta, per quanto riguarda le suddette cinque vocali pure e fluide, che per ragioni di convenienza sono chiamate italiane, o classiche, ma che di fatto si trovano praticamente in ogni lingua dei popoli civilizzati e non civilizzati, sebbene non sempre, o potremmo dire raramente, se non per niente, con la medesima purezza di forma, colori e accentuazione nota all'italiano. 
Anch'io condivido l'opinione che il buon canto deve essere basato sulle 5 vocali a, e, i, o, u, nella loro forma più pura, e nelle modificazioni di queste.>>

In seguito, nella Masterclass di Gigli a Vienna del 1955, ecco altri suoi illuminanti insegnamenti e dimostrazioni pratiche del Bel Canto:

"Loro hanno sette vocali...voi, tedeschi, o inglesi o americani non avete le 5 vocali per il canto come ce l'ha l'Italia: "A", "E", "I", "O", "U". Noi facciamo...sulla STESSA POSIZIONE, noi dobbiamo fare le 5 vocali; e vi do un esempio pratico: (canta, vocalizzando "a-e-i-o-u"). Come avete visto e sentito io non ho mosso né gola...non ho mosso nulla. E' nella POSIZIONE che io ho fatto le 5 vocali. (...) Se voi dovete studiare il canto, e potrei dire anche, lasciatemelo dire...il BEL CANTO ITALIANO, bisogna che vi portate necessariamente a imparare le 5 vocali e metterle, le 5 vocali, sulla stessa posizione."


Infine, nelle sue "Memorie" (1957), con alle spalle una vita di canto nei principali teatri, auditori, chiese, piazze e luoghi d'Italia e del mondo, ecco le sue fondamentali raccomandazioni alle generazioni future della lirica: 

<<Per certi giovani cantanti d'oggigiorno, sei anni di studio possono sembrare molto lunghi, pure ancor oggi io penso che siano stati necessari. Provo sempre una estrema gratitudine per i vari insegnanti che non hanno soltanto educato la mia voce, ma mi hanno anche appreso la pazienza. Sulle prime, avevo creduto che un paio di anni o tre sarebbero bastati, ma non appena il mio tirocinio cominciò sul serio e secondo le regole, presi a rendermi conto che non sarebbe bastata un'intera vita per imparate tutto quello che c'era da imparare. Ora che mi sono ritirato dalle scene, mi viene spesso chiesto che ne pensi del futuro del ''bel canto''. Ho una risposta appena : dipende dalla volontà di lavorare sodo. Ogni generazione avrà la sua parte di voci che si staccano dalle altre : ma, a meno che i giovani allievi non siano preparati ad affrontare sei o sette anni di esercizio, il ''bel canto'' andrà in declino.>>


Ed ancora:
<<Sento di dover raccomandare a tutti i giovani cantanti: siate perseveranti nel vostro studio. Abbiate il coraggio di rimandare il vostro debutto fin che non sarete realmente preparati. Non fate, ve ne prego, che la tradizione del "bel canto" intristisca e svanisca. (...) Donizetti è più difficile da cantare che non Puccini (...) Il 5 ottobre 1916, al Teatro Ristori di Verona, aggiunsi una settima opera alla mia collana, che già stava accrescendosi regolarmente. Di nuovo Donizetti: "Lucia di Lammermoor". (...) Durante tutta la prima rappresentazione dovetti sforzarmi di risparmiare abbastanza fiato per il "Tu che a Dio..." lo avevo provato e riprovato molte volte, ma è un canto estremamente difficile ed estenuante (...) Un cantante la cui voce sia mediocre, la cui tecnica sia tutt'altro che impeccabile, riescirà ciononostante assai spesso a ingannare il suo pubblico con un'opera di Puccini, e ad arrivare alla fine guadagnandosi per soprammercato degli applausi. Cantanti di tal fatta ci penserebbero però due volte prima di arrischiarsi con la musica di Donizetti che mette spietatamente a nudo le vere possibilità di ognuno. (...) Le parti di Donizetti sono delle parti schiettamente liriche, piegate all'imperio della melodia, alle "arie", alle "cavatine", alle "cabalette", ai lenti "legati". Esigono sicurezza di respiro e sicurezza di tono; esigono facilità ed equilibrio d'emissione: le prime e fondamentali esigenze, si ricordi, delle esercitazioni vocali. Il fatto rimane che molti cantanti, oggigiorno, si avventurano nella loro carriera quando sono ancora lontani, molto lontani dall'aver assoluta padronanza di questi requisiti basilari.>>


Una particolare testimonianza poi è quella di Michelangelo Verso, uno degli allievi di Gigli, sul bel canto e l'importanza del "capitale vocale":

<<Mentre cantavo l'aria "A te o cara" dei Puritani, a piena voce, anche perché il pianista suonava troppo forte, Gigli c'interruppe dicendo al pianista: "Devo sentire a Lei, come pianista, o devo sentire il Tenore, e allora La prego di accompagnare il cantante e di rispettare i piani come segnati nello spartito perché altrimenti costringerebbe il cantante a forzare e spingere la voce e non potrebbe dare espressione di belcanto".
Poi, come esempio, Gigli seduto nella sua poltrona, cantò con la massima facilità, la frase più acuta "se ramme-e-e-nto" volendomi dimostrare come si emette un Do# con la facilità e il belcanto
che lui solo aveva, dandoci così una grande emozione da rimanere sbalorditi.
Poi mi disse: "Tu vuoi cantare solo per una sera, o per tutta la vita?"
"Pensa di cantare con l'interesse e non con il tuo capitale" e allora io mi sono permesso di chiedere una spiegazione più dettagliata. Lui mi spiegò in poche parole che l'interesse sarebbe la tecnica, l'intelligenza, la musicalità e la facoltà di sapersi risparmiare per poter cantare professionalmente e per poter fare anche una carriera duratura, mentre il capitale sarebbe la propria salute in genere e specialmente quella delle corde vocali, e bisogna saper usare bene la giusta tecnica di emissione assieme alla respirazione diaframmatica, cantando sul fiato e sulla parola, appoggiando in maschera senza usare suoni gutturali e nasali.>>


Nella sua carriera artistica, quella ufficiale che comincia nel 1914 con il debutto di Rovigo, Beniamino Gigli cantò in almeno 4000 spettacoli importanti, tra recite e concerti. Egli, nell'arco di ben 41 anni di carriera, cantò in almeno 40 paesi di 4 continenti, in circa 300 città del mondo e in oltre 400 città e paesi d'Italia.



Su "La Domenica del Corriere" del 15 dicembre 1957, a sole due settimane dalla scomparsa, Gigli viene definito "L'AMBASCIATORE DEL BEL CANTO ITALIANO NEL MONDO" !!!


Ma la sua lezione e la sua eredità belcantistica non termina con la sua scomparsa, continua infatti tramite i suoi insegnamenti lasciati per iscritto ed in forma orale, oltre che con il suo esempio pratico canoro, che sopravvive a tutt'oggi nel ricordo vivo delle tantissime persone che l'hanno ascoltato nel sue interpretazioni dal vivo e, per tutti gli altri, nelle sue registrazioni "live" e in studio che non cessano ancora oggi nel 2015 di sorprendere e commuovere... 

...così come continua attraverso la figlia Rina Gigli, soprano lirico, e moglie del basso Plinio Clabassi, che cantò ed interpretò ben 35 ruoli lungo una carriera, durata ben 35 anni tra Italia ed estero!
Il Soprano Rina Gigli


Qui vediamo una foto di Beniamino Gigli con speciale dedica alla figlia Rina: <<Alla mia Rina, perché seguiti a tenere alto il "Bel Canto" dei Gigli - Papà 1947>>


...e continua, per mezzo di quegli artisti lirici che portano avanti la vera Arte e la vera Musica e che tramandano, attraverso le proprie performance pubbliche e per mezzo dell'insegnamento didattico a decine e decine di giovani italiani e stranieri, la tradizione vocale dell'antica tecnica belcantistica italiana e lo straordinario patrimonio della nostra Opera Italiana, amata in tutto il mondo! 

Ecco alcune storiche registrazioni audio e video di Beniamino e Rina Gigli:








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